lunedì 2 novembre 2009

Afghanistan, epilogo di una storia già scritta? Piuttosto, nuovo episodio di un dramma.

Karzai è, infine, giunto de facto al suo secondo mandato da Presidente, unico candidato al ballottaggio - che non verrà celebrato - dopo l'abbandono del suo ex ministro degli Esteri, Abdullah. Un personaggio dubbio, con interessi più o meno diretti nel traffico di oppio, voce principale del bilancio domestico dei contadini afghani, ancora oggi restii alla conversione dei propri campi a colture utili da un punto di vista alimentare e dell'immagine internazionale del governo del Paese (che dimostrerebbe di essere quello che non è: una forza riconosciuta come legittima e in grado di controllare il proprio territorio), ma davvero poco redditizie e che lascerebbero sul lastrico i già poverissimi coltivatori. Certo, dall'altra parte non si può dire che ci fosse un esemplare di homo politicus di tutto rispetto. E come potrebbe essere così, in uno Stato artificiale, sicuramente di nessuna tradizione democratica, dove un ruolo fondamentale lo hanno i "signori della guerra", spesso capi tribali che detengono il vero potere "politico" e che sono stati decisivi nell'approvazione anche di quella sottospecie di Costituzione che ha ridato vita alla Repubblica islamica dell'Afghanistan, la quale nel 2004 ha "eletto" per la prima volta nella sua storia il proprio Presidente?
Vero, non si può giudicare il mondo con il metro dell'Occidente, e in particolare, con la regula liberale. Ma a tale giudizio si è costretti se si tiene a mente che tutto in quella regione asiatica è sempre stato mosso da potenze o coalizioni di potenze esterne. E, pertanto, tale giudizio è rivolto nei confronti di quelle stesse potenze o coalizioni che hanno sostenuto i vari "governi-fantoccio" che nel corso del tempo si sono avvicendati, fossero essi di tendenze filo-americane o comuniste. Si tratta di mettere sul banco degli imputati proprio le politiche di potenza portate avanti senza alcuno scrupolo e riguardo nei confronti degli afghani, che passivamente non hanno potuto far altro che assistere allo straminio che si è fatto dei propri villaggi, nemmeno del proprio Stato, ché certo una coscienza unitaria non si può davvero affermare che sussista in quell'agglomerato di potentati etno-religioso-tribali.
L'esempio dell'Afghanistan e della semplificazione terribile con il quale la sua complessità è stata affrontata dovrebbero restare scolpito nella memoria politica internazionale, al fine di evitare che si strumentalizzino aree geografiche, trattandole come mere aree di concentrazione di interessi più o meno leciti, per poi trovarsi a dover gestire i risultati disastrosi di campagne di "esportazione della democrazia" o di "lotta al terrorismo", che creano piuttosto occasioni di nuova instabilità. Dimenticando che la democrazia come ideale universalmente applicabile non esiste, ma esiste solo una consuetudine democratica che ha bisogno di uno sforzo culturale costante che la sostenga. Dopotutto, i tempi vitali democratici negli stessi Paesi occidentali sono ciclici e non rettilinei, e comunque non procedono per inerzia.

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