domenica 15 novembre 2009

Il discorso all'Umanità

Mi dispiace, ma io non voglio fare l'imperatore, non è il mio mestiere. Non voglio governare, né conquistare nessuno.
Vorrei aiutare tutti, se possibile: ebrei, ariani, Uomini neri e bianchi. Tutti noi Esseri Umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo; non odiarci e disprezzarci l'un l'altro.
In questo mondo c'è posto per tutti! La Natura è ricca e sufficiente per tutti noi.
La Vita può essere Felice e Magnifica, ma noi l'abbiamo dimenticato.
La Avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell'odio, ci ha condotti a passo d'oca a far le cose più abiette. Abbiamo mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi; la macchina dell'abbondanza ci ha dato povertà; la scienza ci ha trasformato in cinici; l'abilità ci ha reso duri e cattivi. Pensiamo troppo e sentiamo poco.
Più che macchinari ci serve Umanità, più che abilità ci servono Bontà e Gentilezza. Senza queste qualità la vita è violenza, e tutto è perduto!
L'aviazione e la radio hanno riavvicinato le Genti. La natura stessa di queste invenzioni reclama la Bontà nell'Uomo, la Fratellanza universale, l'Unione dell'Umanità!
Perfino ora la mia voce raggiunge milioni di persone, milioni di uomini, donne e bambini disperati, vittime di un sistema che impone agli uomini di torturare a imprigionare gente innocente.
A coloro che mi odono, dico: "Non disperate!"
L'Avidità che ci comanda è solo un Male passeggero, l'amarezza di uomini che temono le vie del Progresso Umano. L'odio degli uomini scompare insieme ai dittatori e il potere che hanno tolto al Popolo, ritornerà al Popolo.
E qualsiasi mezzo usino, la Libertà non può essere soppressa!
Soldati! Non cedete a dei bruti! Uomini che vi disprezzano e vi sfruttano! Che vi dicono come vivere, cosa fare, cosa dire, cosa pensare! Che vi irreggimentano! Vi condizionano! Vi trattano come bestie! Non vi consegnate a questa gente senza un'Anima! Uomini-macchina, con macchine al posto del Cervello e del Cuore! Voi non siete macchine! Voi non siete bestie! Siete Uomini!
Voi avete l'Amore dell'Umanità nel Cuore. Voi non odiate! E coloro che odiano sono quelli che non hanno l'Amore altrui.
Soldati! Non difendete la schiavitù, ma la Libertà!
Ricordate! Nel Vangelo di S. Luca è scritto: "Il Regno di Dio è nel cuore dell'Uomo", non di un solo uomo, o di un gruppo di uomini, ma di tutti gli Uomini!
Voi, voi, il Popolo, avete la Forza di creare le macchine, la forza di creare la Felicità!
Voi, il Popolo, avete la Forza di fare che la Vita sia Bella e Libera! Di fare di questa Vita una Splendida avventura!
Quindi, in nome della Democrazia, usiamo questa Forza! Uniamoci tutti! Combattiamo per un Mondo Nuovo! Che sia migliore: che dia a tutti gli Uomini Lavoro, ai Giovani un Futuro, ai Vecchi la Sicurezza.
Promettendovi queste cose, dei bruti sono andati al potere! Mentivano!
Non hanno mantenuto quelle promesse e mai lo faranno! I dittatori sono, forse, liberi perché rendono schiavo il Popolo!
Allora, combattiamo per mantenere quelle Promesse! Combattiamo per liberare il Mondo, eliminando confini e barriere! Eliminando l'Avidità, l'Odio e l'Intolleranza!
Combattiamo per un Mondo Ragionevole! Un Mondo in cui la scienza e il progresso diano a tutti gli Uomini il benessere!
Soldati! Nel nome della Democrazia, siate tutti Uniti!
(da Il Grande Dittatore, film di C. Chaplin, 1940)

martedì 10 novembre 2009

La finta democrazia diretta

Ci risiamo: ecco che rispunta la proposta dell'elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri. Una pessima idea - a parere di chi, come G. Sartori, di queste cose ne sa sicuramente molto più di me - che venne avanzata già diversi anni fa, solo che allora si parlava del Sindaco d'Italia, come a rendere maggiormente accettabile l'idea per i cittadini, ammantandola di un certo sapore di festa paesana con il Sindaco che passa tra le bancarelle con la sua bella fascia tricolore a dar buffetti ai bimbi, pacche sulle spalle e vigorose strette di mano agli uomini e rispettosi saluti alle signore, il tutto condito da un bonario sorriso - se non sguaiate risa.
La cosa che più preoccupa è che, però, la gente a questa trovata possa reagire, dicendo: "Ma come? Il Presidente del Consiglio noi lo eleggiamo già! Lo sanno tutti! Anche sulle schede elettorali c'è il nome del candidato premier! Che novità sarebbe mai?". Appunto, davvero preoccupante e distorsivo del sistema parlamentare repubblicano italiano: perché l'operazione di porre il nome del cosiddetto "candidato" sarebbe tranquillamente considerabile incostituzionale, dal momento che la nostra Carta dice chiaramente, all'art. 92, che "Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri". Il riferimento al verbo nominare ci deve far pensare a una certa libertà del Presidente della Repubblica nel dare mandato (meglio noto come mandato esplorativo) di formare il Governo che dovrà poi presentarsi davanti al Parlamento per la votazione della "fiducia". Questa libertà è comunque condizionata dalla prassi che vuole quale soggetto designando il capo del partito - o della coalizione di partiti - risultato vincente alle elezioni. Il meccanismo appena descritto, se correttamente applicato, permetterebbe al sistema parlamentare di caratterizzarsi come il più flessibile dei sistemi, dal momento che all'atto di una crisi di Governo con conseguenti dimissioni del Presidente del Consiglio, il Presidente della Repubblica potrebbe riattivarsi ai fini di conferire un nuovo mandato esplorativo allo stesso soggetto, se ne ricorrono i presupposti di fatto, oppure ad un altro che potrebbe in quel particolare frangente raccogliere nelle Aule il consenso necessario alla formazione di una diversa compagine governativa, stante sempre il limite tendenziale di garantire il rispetto della volontà elettorale, e dunque scegliere il nuovo Presidente del Consiglio tra coloro che della maggioranza parlamentare fanno parte. Limite tendenziale perché in ipotesi particolarissime, e per questo rarissime, il Capo dello Stato potrebbe dar luogo anche alla nomina di un soggetto che provenga da una opposizione, se questo fosse in grado di coagulare intorno a sé la fiducia necessaria affinché un Governo - pur con una vita e una raggio d'azione, comunque più limitati - possa nascere e portare avanti un certo lavoro avviato dalla precedente amministrazione, da concludere nell'interesse del Paese. Già, l'interesse del Paese, una categoria politica normale in altri Stati, una bandiera dietro la quale mascherare i particolarismi e gli interessi privati. E gli interessi privati e l'ingombro degli ego di tanti politici hanno piegato al personalismo non solo la politica, ma, più o meno direttamente, anche la struttura costituzionale della Repubblica, traviandone gli istituti migliori (ma certamente migliorabili) e deviandone l'applicazione al punto da renderli inservibili. Con la parossistica conclusione che loro stessi hanno poi accusato di ineffettività proprio quegli strumenti usati impropriamente, fino a renderli quasi inservibili. Ripensiamo al caso dell'apposizione del nome del "candidato" premier: ovviamente, nella superbia boriosa questi, se eleltto, riterebbe di diventare una specie di intoccabile. O meglio, toccabile solo a condizione che con esso venga "toccato" tutto il Parlamento. Ingessando e snaturando la natura intima del sistema di governo parlamentare. Tutto in nome di un'illusione di maggiore democrazia partecipata, ma che si traduce solo in esiti disastrosi sul piano della non traumaticità della vita politica rispetto a quella della società che è chiamata ad amministrare, nonché della disaffezione del corpo elettorale rispetto al momento delle elezioni.

P.s.: una precisazione in chiusura è doverosa, laddove il Presidente Fini afferma che la Francia conoscerebbe l'istituto dell'elezione del Presidente del Consiglio. Falso: la Francia si definisce come un sistema semi-presidenziale, dove è il Presidente della Repubblica ad essere eletto direttamente dai cittadini. Corretta è la sua stessa affermazione, invece, secondo la quale Israele aveva adotatto il sistema dell'elezione diretta del Primo Ministro. Si noti il verbo al passato: perché, a seguito dei fallimenti politici che quel sistema ha provocato nell'unico Paese che lo abbia adottato, è ora stato abbandonato.

lunedì 9 novembre 2009

C'era una volta l'Europa... Domani ci sarà Una Europa?

Posso immaginare che molti storceranno il naso nel leggere l'ennesimo post sulla ricorrenza del ventennale della caduta del Muro di Berlino. Lo so, forse non brillo di particolare originalità. Ma ritengo che su uno stesso argomento, ogni spunto di riflessione possa portare un proprio contributo, anche solo di sostegno a una idea partita come vera riflessione originale.
Veniamo, ora al punto.
Venti anni fa crollava un muro che ha rappresentato anzitutto dolore per i cittadini di una città divisa in due, abitanti della stessa terra, ma "appartenenti" a due Stati che si erano dichiarati nemici l'uno dell'altro, proiezione in piccolo del conflitto a freddo che ha tenuto costantemente in tensione direttamente una parte del mondo, indirettamente tutto il restante. Il muro quella notte di venti anni fa viene squarciato e si riapre per la Germania una nuova fase di unificazione, precisamente la terza, se si vuole considerare un tentativo di unificazione il piano criminale di un piccolo austriaco schizofrenico, che qualche decennio prima, partito con l'idea di riunire tutto il popolo germanico sotto un'unica bandiera, aveva fuso entità storicamente rimaste sempre separate, per poi alzare il tiro e vagheggiare la nascita di un impero mondiale.
In realtà, però, non possiamo evitare di guardare anche in casa nostra. E il caso ha voluto che pochi giorni prima di questa ricorrenza di valenza internazionale, anche in Italia - sempre sotto silenzio, come capita per questo genere di occasioni - si "festeggiasse" l'Unità d'Italia, la Repubblica che abbiamo la (s)ventura di abitare e che, tra poco meno di due anni, festeggiare il terzo cinquantenario: una festa con i fichi secchi, visti i continui tagli al bilancio statale, alla crisi che - giustamente, sia detto - assorbe tutte le risorse economiche del Paese. Prospettiva che ha fatto andare letteralmente su tutte le furie il campione del patriottismo costituzionale 2.0, ovvero il senatore Ciampi, che molto si diede da fare durante il suo mandato presidenziale per inculcare negli italiani il sentimento di italianità legato non solo e non tanto alle "belle tradizioni del nostro popolo" (leggi, per la maggior parte di queste, cattolicesimo), ma piuttosto ai valori che ispirarono i fondatori della Repubblica, in un tentativo di riappacificazione storica e sociale che non gli ha evitato di commettere qualche atto di ambiguità (vedi, la "riabilitazione" dei repubblichini).
Insomma, anche qui ci troviamo di fronte a una unificazione, forse mai completata e sempre incerta grazie anche a certe tendenze politiche manifestatesi proprio negli ultimi venti anni.
Ma la "festa" non finisce qui: ancora qualche giorno prima si è finalmente riusciti ad ottenere il deposito di tutti gli strumenti di ratifica del Trattato di Lisbona, che finalmente (!) dopo cinque anni dal fallimento della Costituzione europea di Roma, sarà in grado di dare all'UE una struttura in piccola parte riformata, ma comunque ancora largamente inadeguata a trasformare il vincolo internazionalistico che lega gli attuali membri in un vincolo di tipo costituzionale - a questo punto la speranza è data dallo sviluppo della prassi istituzionale e della giurisprudenza della Corte della Comunità Europea, che grande ruolo rivestire nel corso del "federalizing process", come ha dopotutto sempre fatto in tutta la storia comunitaria. Ad ogni modo, per adesso, la riforma ha aperto solo il toto-candidatura per le poltrone di rilievo, in particolare quella della Presidenza dell'Unione e quella dell'Alto Rappresentante, ovvero qualcosa di simile al Ministro degli Esteri, dando la stura agli egoismi nazionali, particolarmente da noi, dove sarebbe vissuto come un affronto al nostro "prestigio" l'eventuale rigetto del nome italiano.
Da europeista, non posso far altro che essere molto scettico e sospettoso nei confronti di questi meccanismi di spartizione, che nel rutilante vortice di pochi nomi illustri sui quali puntare l'attenzione, dimenticano - o vogliono far dimenticare ai cittadini - il dolore di molti, dato dalla esistenza nella casa europea di un muro della vergogna che separa in due, ancor oggi, la capitale di uno dei suoi Stati membri.

martedì 3 novembre 2009

Una piccola nota esplicativa

La pubblicazione del Manifesto del PdA è dovuta al fatto che, personalmente, di rado sono stato altrettanto colpito dalla organicità, sistematicità e sintetica chiarezza nell'esposizione di punti programmatici. Insomma, a mio parere si tratta di un gioiello della storia politica repubblicana che deve essere attentamente custodito e meditato.

Manifesto del Partito d'Azione

Il Partito d’Azione è il movimento di tutti quei lavoratori che credono superati gli schemi tradizionali dei vecchi partiti politici del secolo scorso anche per la tragica esperienza dell’ultimo ventennio di oppressione fascista e che si trovano concordi su di un programma che concili la libertà e le esigenze della personalità una man con un socialismo progressivo, e che pertanto:

VUOLE LA LIBERTA’ garantita nelle sue espressioni fondamentali – libertà di coscienza, di culto, di pensiero, di stampa, di critica, di riunione, di associazione – perché solo la libertà può educare i popoli, dare dignità alle persone, selezionare i valori.

VUOLE UN NUOVO STATO DEMOCRATICO E REPUBBLICANO, non soltanto perché giudica la monarchia corresponsabile con il fascismo della rovina del paese, ma perché ritiene che la forma repubblicana sia la forma naturale della democrazia, e cioè del governo fondato sul popolo.

VUOLE CHE GLI ENTI LOCALI – Comuni, Provincie e Regioni – possano amministrarsi con indipendenza dalle Amministrazione centrali dello Stato, secondo i bisogni e gli interessi del luogo;

che tutti gli amministratori degli interessi collettivi siano scelti per elezione;

che gli impiegati siano pochi, buoni e ben pagati;

e questo sia per evitare i troppo noti inconvenienti di un sistema amministrativo centralizzatore e macchinoso come quello che si era costruito in Italia, facendo capo Roma, con il fascismo; sia per romperla una buona volta, con una burocrazia troppo numerosa, vagante per l’Italia, legata a stipendi di fame, svogliata e corrompibile.

VUOLE L’ATTUAZIONE DI UN LARGO PROGRAMMA DI RIFORME SOCIALI che dia a tutti i lavoratori del braccio e della mente la piena dignità del loro lavoro, riscattandolo da ogni prepotere capitalistico con la effettiva socializzazione di tutti i grandi complessi industriali, agrari, commerciali e finanziari;

che nel campo dell’agricoltura, socializzate in varie forme la grande e la media proprietà, la piccola proprietà coltivatrice sia favorita, in modo che sempre più vaste masse di lavoratori possano conquistare individualmente o in cooperativa il godimento diretto ed integrale della terra che lavorano;

che nel campo dell’industria, gli operai, gli impiegati e i tecnici non soltanto possano partecipare agli utili dell’impresa ma, attraverso i Consigli di Fabbrica, possano partecipare attivamente alla vita dell’azienda educandosi ai problemi della produzione;

che nel campo del commercio, liberato dai vincoli soffocanti della polizia economica, siano eliminate tutte le forme di favoreggiamento e privilegio.

VUOLE LA SCUOLA accessibile, nei gradi più alti, soltanto a coloro che dimostrino di avere le necessarie capacità intellettuali, indipendentemente dalla loro condizione economica.

VUOLE UNA POLITICA INTERNAZIONALE basata sui principi tramandatici dagli uomini del nostro Risorgimento che combatterono per l’indipendenza dell’Italia, per la libertà dei popoli oppressi: indipendenza delle nazioni, fratellanza fra i popoli e costituzione di una federazione europea.

Per l’attuazione di questo programma il Partito d’Azione chiama a raccolta tutti i lavoratori del braccio e della mente al fine di creare un grande PARTITO DEL LAVORO il quale agisca sotto l’insegna:
GIUSTIZIA E LIBERTA’

lunedì 2 novembre 2009

Afghanistan, epilogo di una storia già scritta? Piuttosto, nuovo episodio di un dramma.

Karzai è, infine, giunto de facto al suo secondo mandato da Presidente, unico candidato al ballottaggio - che non verrà celebrato - dopo l'abbandono del suo ex ministro degli Esteri, Abdullah. Un personaggio dubbio, con interessi più o meno diretti nel traffico di oppio, voce principale del bilancio domestico dei contadini afghani, ancora oggi restii alla conversione dei propri campi a colture utili da un punto di vista alimentare e dell'immagine internazionale del governo del Paese (che dimostrerebbe di essere quello che non è: una forza riconosciuta come legittima e in grado di controllare il proprio territorio), ma davvero poco redditizie e che lascerebbero sul lastrico i già poverissimi coltivatori. Certo, dall'altra parte non si può dire che ci fosse un esemplare di homo politicus di tutto rispetto. E come potrebbe essere così, in uno Stato artificiale, sicuramente di nessuna tradizione democratica, dove un ruolo fondamentale lo hanno i "signori della guerra", spesso capi tribali che detengono il vero potere "politico" e che sono stati decisivi nell'approvazione anche di quella sottospecie di Costituzione che ha ridato vita alla Repubblica islamica dell'Afghanistan, la quale nel 2004 ha "eletto" per la prima volta nella sua storia il proprio Presidente?
Vero, non si può giudicare il mondo con il metro dell'Occidente, e in particolare, con la regula liberale. Ma a tale giudizio si è costretti se si tiene a mente che tutto in quella regione asiatica è sempre stato mosso da potenze o coalizioni di potenze esterne. E, pertanto, tale giudizio è rivolto nei confronti di quelle stesse potenze o coalizioni che hanno sostenuto i vari "governi-fantoccio" che nel corso del tempo si sono avvicendati, fossero essi di tendenze filo-americane o comuniste. Si tratta di mettere sul banco degli imputati proprio le politiche di potenza portate avanti senza alcuno scrupolo e riguardo nei confronti degli afghani, che passivamente non hanno potuto far altro che assistere allo straminio che si è fatto dei propri villaggi, nemmeno del proprio Stato, ché certo una coscienza unitaria non si può davvero affermare che sussista in quell'agglomerato di potentati etno-religioso-tribali.
L'esempio dell'Afghanistan e della semplificazione terribile con il quale la sua complessità è stata affrontata dovrebbero restare scolpito nella memoria politica internazionale, al fine di evitare che si strumentalizzino aree geografiche, trattandole come mere aree di concentrazione di interessi più o meno leciti, per poi trovarsi a dover gestire i risultati disastrosi di campagne di "esportazione della democrazia" o di "lotta al terrorismo", che creano piuttosto occasioni di nuova instabilità. Dimenticando che la democrazia come ideale universalmente applicabile non esiste, ma esiste solo una consuetudine democratica che ha bisogno di uno sforzo culturale costante che la sostenga. Dopotutto, i tempi vitali democratici negli stessi Paesi occidentali sono ciclici e non rettilinei, e comunque non procedono per inerzia.

sabato 31 ottobre 2009

Federalismo liberale

La forma di Stato federale ha presentato diversissime applicazioni, ma prima ancora altrettanto diverse teorizzazioni. La realtà storica più risalente, almeno secondo le teorie classiche del federalismo, ci dimostra come il processo sia stato sempre di questo tipo: entità preesistenti che, stipulando tra loro un "patto" costituente (foedus), decidono di limitare la propria sovranità in modo da perdere autonomia giuridica esterna a favore di un ente che esercita il proprio potere sull'intero territorio risultante dall'unione di quello delle entità fondative. Basti pensare alla nascita degli Stati Uniti d'America, ormai esempio di scuola, ma anche alla Svizzera e, con le dovute cautele interpretative, alla Germania, al Brasile, al Canada, al Messico e all'India. Lo stesso sta avvenendo per l'Unione Europea, anche se, in effetti, si tratta di un processo graduale che porterà, probabilmente, un giorno alla nascita di uno Stato federale europeo, ma secondo modalità e tempistica del tutto diverse da quelle realizzatesi fino ad ora.
Tuttavia, una tendenza diversa riguarda quegli Stati che, nati come unitari, si sono poi dotati (o si stanno dotando, nella maggior parte dei casi) di una struttura di tipo federativo: per essi, si ricordano il Belgio, l'Italia e la Spagna.
Per tentare di trovare un minimo comun denominatore tra le diverse esperienze storiche ora ricordate, credo che da un punto di vista liberale, si possa affermare che il federalismo nasce come una delle teorie costituzionaliste di divisione e, quindi, bilanciamento dei poteri tra diversi soggetti costituenti un ordinamento giuridico. Mentre nelle teorie che potremmo - grossolanamente - definire "centralizzanti" o "unitarie", il potere politico è diviso fondamentalmente tra tre soggetti istituzionali costituenti lo Stato, o Repubblica, (Parlamento, Governo, Magistratura), nelle teorie federaliste il quadro è complicato perché la divisione istituzionale non è ritenuta sufficiente a garantire il cittadino dall'arbitrarietà dei detentori dei pubblici poteri: non più una Repubblica unica nella sua concretezza territoriale, ma una forma di organizzazione che comprenda ed esalti altre realtà territoriali, solitamente denominate Stati o Provincie.
Dunque, creazione di un doppio livello di legislazione, governo e amministrazione della giustizia: Federazione e Stato. Questa ricostruzione può essere vera nella misura in cui riteniamo che la teoria che possa spiegare la nascita di sistemi federali sia quella "monistica"con prevalenza dell'ordinamento federale, per la quale è l'ente federale che in qualche maniera crea e giustifica la sussistenza di una realtà ordinamentale sott'ordinata, cui vengono attribuite la generalità delle competenze, riservando a sé solo determinate materie (in particolare, la politica estera e la difesa) ritenute fondamentali per la stessa sopravvivenza del complesso politico e giuridico.