martedì 10 novembre 2009

La finta democrazia diretta

Ci risiamo: ecco che rispunta la proposta dell'elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri. Una pessima idea - a parere di chi, come G. Sartori, di queste cose ne sa sicuramente molto più di me - che venne avanzata già diversi anni fa, solo che allora si parlava del Sindaco d'Italia, come a rendere maggiormente accettabile l'idea per i cittadini, ammantandola di un certo sapore di festa paesana con il Sindaco che passa tra le bancarelle con la sua bella fascia tricolore a dar buffetti ai bimbi, pacche sulle spalle e vigorose strette di mano agli uomini e rispettosi saluti alle signore, il tutto condito da un bonario sorriso - se non sguaiate risa.
La cosa che più preoccupa è che, però, la gente a questa trovata possa reagire, dicendo: "Ma come? Il Presidente del Consiglio noi lo eleggiamo già! Lo sanno tutti! Anche sulle schede elettorali c'è il nome del candidato premier! Che novità sarebbe mai?". Appunto, davvero preoccupante e distorsivo del sistema parlamentare repubblicano italiano: perché l'operazione di porre il nome del cosiddetto "candidato" sarebbe tranquillamente considerabile incostituzionale, dal momento che la nostra Carta dice chiaramente, all'art. 92, che "Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri". Il riferimento al verbo nominare ci deve far pensare a una certa libertà del Presidente della Repubblica nel dare mandato (meglio noto come mandato esplorativo) di formare il Governo che dovrà poi presentarsi davanti al Parlamento per la votazione della "fiducia". Questa libertà è comunque condizionata dalla prassi che vuole quale soggetto designando il capo del partito - o della coalizione di partiti - risultato vincente alle elezioni. Il meccanismo appena descritto, se correttamente applicato, permetterebbe al sistema parlamentare di caratterizzarsi come il più flessibile dei sistemi, dal momento che all'atto di una crisi di Governo con conseguenti dimissioni del Presidente del Consiglio, il Presidente della Repubblica potrebbe riattivarsi ai fini di conferire un nuovo mandato esplorativo allo stesso soggetto, se ne ricorrono i presupposti di fatto, oppure ad un altro che potrebbe in quel particolare frangente raccogliere nelle Aule il consenso necessario alla formazione di una diversa compagine governativa, stante sempre il limite tendenziale di garantire il rispetto della volontà elettorale, e dunque scegliere il nuovo Presidente del Consiglio tra coloro che della maggioranza parlamentare fanno parte. Limite tendenziale perché in ipotesi particolarissime, e per questo rarissime, il Capo dello Stato potrebbe dar luogo anche alla nomina di un soggetto che provenga da una opposizione, se questo fosse in grado di coagulare intorno a sé la fiducia necessaria affinché un Governo - pur con una vita e una raggio d'azione, comunque più limitati - possa nascere e portare avanti un certo lavoro avviato dalla precedente amministrazione, da concludere nell'interesse del Paese. Già, l'interesse del Paese, una categoria politica normale in altri Stati, una bandiera dietro la quale mascherare i particolarismi e gli interessi privati. E gli interessi privati e l'ingombro degli ego di tanti politici hanno piegato al personalismo non solo la politica, ma, più o meno direttamente, anche la struttura costituzionale della Repubblica, traviandone gli istituti migliori (ma certamente migliorabili) e deviandone l'applicazione al punto da renderli inservibili. Con la parossistica conclusione che loro stessi hanno poi accusato di ineffettività proprio quegli strumenti usati impropriamente, fino a renderli quasi inservibili. Ripensiamo al caso dell'apposizione del nome del "candidato" premier: ovviamente, nella superbia boriosa questi, se eleltto, riterebbe di diventare una specie di intoccabile. O meglio, toccabile solo a condizione che con esso venga "toccato" tutto il Parlamento. Ingessando e snaturando la natura intima del sistema di governo parlamentare. Tutto in nome di un'illusione di maggiore democrazia partecipata, ma che si traduce solo in esiti disastrosi sul piano della non traumaticità della vita politica rispetto a quella della società che è chiamata ad amministrare, nonché della disaffezione del corpo elettorale rispetto al momento delle elezioni.

P.s.: una precisazione in chiusura è doverosa, laddove il Presidente Fini afferma che la Francia conoscerebbe l'istituto dell'elezione del Presidente del Consiglio. Falso: la Francia si definisce come un sistema semi-presidenziale, dove è il Presidente della Repubblica ad essere eletto direttamente dai cittadini. Corretta è la sua stessa affermazione, invece, secondo la quale Israele aveva adotatto il sistema dell'elezione diretta del Primo Ministro. Si noti il verbo al passato: perché, a seguito dei fallimenti politici che quel sistema ha provocato nell'unico Paese che lo abbia adottato, è ora stato abbandonato.

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